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mercoledì 5 giugno 2013

Un sanità disumanizzata .. è il segno di società decadente



Mi è capitato di rivedere alcune sere fa, un vecchio film di Lina Wertmuller: “Io speriamo che me la cavo”.
Un film ispirato al libro di un maestro (Marcello D’Orta) che ha pubblicato i temi dei suoi alunni, che frequentavano una scuola elementare del napoletano.
La regista si è ispirata al libro, per fare una denuncia sociale sul tenore di vita dei bambini napoletani, ma non solo, anche degli adulti che sono anch’essi vittima di un sistema disumanizzato, dove la povertà non è più quella raccontata da Scarpetta o De Filippo.
C’è un passaggio nel film, in cui il  maestro in piena notte è costretto ad accompagnare una mamma di un suo alunno al pronto soccorso. Giunti in ospedale la povera donna sofferente e adagiata su una barella in mezzo a decina di altri pazienti dormienti e abbandonata. Solo dopo un intervento violento del maestro, nei confronti di una suora capo sala, responsabile del pronto soccorso, qualcuno interverrà per fare un iniezione antidolorifica alla donna sofferente.
Un scena dove la pietà umana è distante anni luce. Dove una figura professionale che dovrebbe essere due volte piena di umanità, una volta come suora consacrata e la seconda come infermiera, entrambe  dovrebbe conoscere la sofferenza umana ed avere un atteggiamento diverso dalla freddezza professionale. Questa suora sembra essere disumanizzata davanti alla povertà e alla sofferenza.
Rivedere quella denuncia sociale, della disumanizzazione della sanità, mi ha riempito di tristezza, ma mai avrei pensato di trovarmi protagonista di una scena simile.

Ieri sera, mia nuora è stata vittima di un incidente stradale, niente di grave, però…
Giunta al pronto soccorso in condizioni di confusione mentale, ripeteva sempre le stesse cose, non ricordava cosa fosse successo, e si vedeva chiaramente che era sotto choc, è stata adagiata sopra una barella, abbandonata lungo un corridoio e messa in attesa…
Quando sono arrivato al pronto soccorso,  ho cercato di capire come stavano le cose. Ho chiesto quando fosse arrivata, con quale codice fosse stata registrata.
Era arrivata da più di mezz’ora e nessuno si era preso cura della ragazza, la quale era stata trasportata al pronto soccorso dopo un incidente stradale  violento, e sintomi era chiari: che l’incidente era stata abbastanza traumatica e violento.
Quello che più infastidiva era l’atteggiamento dei due infermieri dell’accoglienza, che mostravano il più totale disinteresse e menefreghismo a quello che accadeva intorno, e nello specifico non si erano preoccupati di nulla, neanche di procurare un po’ di ghiaccio da mettere su uno zigomo che si stava gonfiando e di procurare un qualcosa per coprirla.

Mentre eravamo, noi parenti, intorno alla ragazza cercando di capire le sue condizioni fisiche, di cosa avesse bisogno, di consolarla e dargli fiducia, subivamo le pressioni delle infermiere che pretendevamo in modo professionale (molto duro e acido) , di uscire e lasciare sola la ragazza. Personalmente tale atteggiamento mi dava molto fastidio, perché si vedeva chiaramente che la ragazza aveva bisogno che qualcuno le stesse vicino, per dargli sicurezze che in quel momento aveva completamento perso. Aveva bisogno di calore umane, di carezze e sicurezza.
Dopo insistenze del personale, siamo uscite dal pronto soccorso. Solo allora ho notato che c’era un grande schermo che indicava i tempi di attesa dei pazienti per essere visitati, e la ragazza era in coda a quattro codici gialli, tempo di attesa oltre due ore… due ore di attesa per un incidente traumatico e violento, con un paziente in stato confusionale e con segni evidenti che aveva battuto la testa.

A questo punto ho “scapocciato”. Questo è un atteggiamento che assumo, quando vedo indifferenza, menefreghismo, cattiva gestione, chiusura nella contro parte. Non sono veramente arrabbiato, fingo, approfittando anche della mia condizione di disabile.
Allora ho “scapocciato”, chiedendo con toni duri del ghiaccio per bloccare il gonfiore sulla guancia, di dare una coperta alla ragazza che sentiva freddo, ricordando loro che la ragazza  arrivava dopo un incidente automobilistico, che poteva essere in condizioni peggiori di come si presentava.. sarà un caso.. ma dopo pochi minuti su monitor appare la segnalazione che la ragazza è in visita… dopo quasi un ora da quando è arrivata, ma se io non avessi “scapocciato” come il maestro del film, quanto avrebbe aspettato?

Questo evento mi ricorda con profonda amarezza e tristezza, quando personalmente ho passato tre giorni in attesa di essere ricoverato, nei corridoi di un pronto soccorso. Quando l’infermiere venne a cercarmi al pronto soccorso, per portarmi al reparto dove mi avrebbero  ricoverato, esulti di gioia  perché uscivo da quell’inferno. Tre giorni distesi su una barella.. in attesa di un letto… ho esultato perché venivo ricoverato… finalmente uscivo da un incubo assolutamente non imputabile al personale sanitario..  

Il dramma è che abbiamo una sanità sempre meno umana, dove in nome di una pseudo professionalità, in nome di una migliore organizzazione delle risorse economiche ed umane, in nome di una migliore efficienza il malato è considerato un pacco di transito nella corsia. Il malato è un costo, e deve essere sempre meno pesante nell’economia generale

La disumanizzazione della sanità è un dramma che uccide parzialmente il paziente.

Bisogna riportare i servizi sanitari nella loro corretta dimensione, quella di curare un umanità ferita, spezzata, umiliata, sofferente.
Non possiamo pensare solo ad una questione di entrate, spese e guadagno.
Bisogna ripensare nella totalità la gestione della sanità, meno numeri e più umanità.
Il pronto soccorso non può essere pensato come un magazzino di entrata pacchi e affini, una centrale smistamento delle cose in entrata.
Il pronto soccorso è il luogo dove tanti mondi vengono sconvolti nella frazione di pochi minuti, dal paziente, l’infortunato, l’incidentato che si ritrova improvvisamente catapultato in una realtà inaspettata, i suoi parenti si trovano anche dentro una realtà sconvolgente dove pensieri, stati d’animo si sovrappongono, si sostituiscono, si intersecano senza fine di continuità, paure nascoste emergono con violenza inaspettata…
Il pronto soccorso è un inferno improvviso.. per tutti.

Bisogna ripensare le strutture del pronto soccorso, non limitare un piccolo spazio del grande ospedale, ma ripensarlo come un grande centro di accoglienza.
Bisogna pensare anche al personale sanitario del pronto soccorso, deve avere una grande specializzazione, diversa da personale che opera in corsie o in reparti dove la malattia è stabilizzata.
Il personale del pronto soccorso deve essere altamente qualificato e preparato  deve avere un sostegno psicologico che li aiuta a metabolizzare, subliminare, ammortizzare   il carico di sofferenza che come un onda in piena a volte travolge il personale sanitario del pronto soccorso.

Bisogna riportare l’umanità dentro il pronto soccorso….

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