Mi è
capitato di rivedere alcune sere fa, un vecchio film di Lina Wertmuller: “Io
speriamo che me la cavo”.
Un film
ispirato al libro di un maestro (Marcello D’Orta) che ha pubblicato i temi dei
suoi alunni, che frequentavano una scuola elementare del napoletano.
La regista si è ispirata al libro, per fare una denuncia sociale sul tenore di vita dei bambini napoletani, ma non solo, anche degli adulti che sono anch’essi vittima di un sistema disumanizzato, dove la povertà non è più quella raccontata da Scarpetta o De Filippo.
La regista si è ispirata al libro, per fare una denuncia sociale sul tenore di vita dei bambini napoletani, ma non solo, anche degli adulti che sono anch’essi vittima di un sistema disumanizzato, dove la povertà non è più quella raccontata da Scarpetta o De Filippo.
C’è un
passaggio nel film, in cui il maestro in
piena notte è costretto ad accompagnare una mamma di un suo alunno al pronto
soccorso. Giunti in ospedale la povera donna sofferente e adagiata su una
barella in mezzo a decina di altri pazienti dormienti e abbandonata. Solo dopo
un intervento violento del maestro, nei confronti di una suora capo sala,
responsabile del pronto soccorso, qualcuno interverrà per fare un iniezione
antidolorifica alla donna sofferente.
Un scena dove la pietà umana è distante anni luce. Dove una figura
professionale che dovrebbe essere due volte piena di umanità, una volta come
suora consacrata e la seconda come infermiera, entrambe dovrebbe conoscere la sofferenza umana ed
avere un atteggiamento diverso dalla freddezza professionale. Questa suora
sembra essere disumanizzata davanti alla povertà e alla sofferenza.
Rivedere
quella denuncia sociale, della disumanizzazione della sanità, mi ha riempito di
tristezza, ma mai avrei pensato di trovarmi protagonista di una scena simile.
Ieri sera,
mia nuora è stata vittima di un incidente stradale, niente di grave, però…
Giunta al
pronto soccorso in condizioni di confusione mentale, ripeteva sempre le stesse
cose, non ricordava cosa fosse successo, e si vedeva chiaramente che era sotto
choc, è stata adagiata sopra una barella, abbandonata lungo un corridoio e
messa in attesa…
Quando sono
arrivato al pronto soccorso, ho cercato
di capire come stavano le cose. Ho chiesto quando fosse arrivata, con quale
codice fosse stata registrata.
Era arrivata
da più di mezz’ora e nessuno si era preso cura della ragazza, la quale era
stata trasportata al pronto soccorso dopo un incidente stradale violento, e sintomi era chiari: che l’incidente
era stata abbastanza traumatica e violento.
Quello che
più infastidiva era l’atteggiamento dei due infermieri dell’accoglienza, che
mostravano il più totale disinteresse e menefreghismo a quello che accadeva
intorno, e nello specifico non si erano preoccupati di nulla, neanche di
procurare un po’ di ghiaccio da mettere su uno zigomo che si stava gonfiando e
di procurare un qualcosa per coprirla.
Mentre
eravamo, noi parenti, intorno alla ragazza cercando di capire le sue condizioni
fisiche, di cosa avesse bisogno, di consolarla e dargli fiducia, subivamo le
pressioni delle infermiere che pretendevamo in modo professionale (molto duro e
acido) , di uscire e lasciare sola la ragazza. Personalmente tale atteggiamento
mi dava molto fastidio, perché si vedeva chiaramente che la ragazza aveva
bisogno che qualcuno le stesse vicino, per dargli sicurezze che in quel momento
aveva completamento perso. Aveva bisogno di calore umane, di carezze e
sicurezza.
Dopo
insistenze del personale, siamo uscite dal pronto soccorso. Solo allora ho
notato che c’era un grande schermo che indicava i tempi di attesa dei pazienti
per essere visitati, e la ragazza era in coda a quattro codici gialli, tempo di
attesa oltre due ore… due ore di attesa per un incidente traumatico e violento,
con un paziente in stato confusionale e con segni evidenti che aveva battuto la
testa.
A questo
punto ho “scapocciato”. Questo è un atteggiamento che assumo, quando vedo
indifferenza, menefreghismo, cattiva gestione, chiusura nella contro parte. Non
sono veramente arrabbiato, fingo, approfittando anche della mia condizione di
disabile.
Allora ho “scapocciato”,
chiedendo con toni duri del ghiaccio per bloccare il gonfiore sulla guancia, di
dare una coperta alla ragazza che sentiva freddo, ricordando loro che la
ragazza arrivava dopo un incidente
automobilistico, che poteva essere in condizioni peggiori di come si
presentava.. sarà un caso.. ma dopo pochi minuti su monitor appare la
segnalazione che la ragazza è in visita… dopo quasi un ora da quando è
arrivata, ma se io non avessi “scapocciato” come il maestro del film, quanto
avrebbe aspettato?
Questo evento
mi ricorda con profonda amarezza e tristezza, quando personalmente ho passato
tre giorni in attesa di essere ricoverato, nei corridoi di un pronto soccorso.
Quando l’infermiere venne a cercarmi al pronto soccorso, per portarmi al
reparto dove mi avrebbero ricoverato,
esulti di gioia perché uscivo da quell’inferno.
Tre giorni distesi su una barella.. in attesa di un letto… ho esultato perché
venivo ricoverato… finalmente uscivo da un incubo assolutamente non imputabile
al personale sanitario..
Il dramma è
che abbiamo una sanità sempre meno umana, dove in nome di una pseudo
professionalità, in nome di una migliore organizzazione delle risorse
economiche ed umane, in nome di una migliore efficienza il malato è considerato
un pacco di transito nella corsia. Il malato è un costo, e deve essere sempre
meno pesante nell’economia generale
La
disumanizzazione della sanità è un dramma che uccide parzialmente il paziente.
Bisogna
riportare i servizi sanitari nella loro corretta dimensione, quella di curare
un umanità ferita, spezzata, umiliata, sofferente.
Non possiamo
pensare solo ad una questione di entrate, spese e guadagno.
Bisogna
ripensare nella totalità la gestione della sanità, meno numeri e più umanità.
Il pronto
soccorso non può essere pensato come un magazzino di entrata pacchi e affini,
una centrale smistamento delle cose in entrata.
Il pronto
soccorso è il luogo dove tanti mondi vengono sconvolti nella frazione di pochi
minuti, dal paziente, l’infortunato, l’incidentato che si ritrova
improvvisamente catapultato in una realtà inaspettata, i suoi parenti si
trovano anche dentro una realtà sconvolgente dove pensieri, stati d’animo si
sovrappongono, si sostituiscono, si intersecano senza fine di continuità, paure
nascoste emergono con violenza inaspettata…
Il pronto
soccorso è un inferno improvviso.. per tutti.
Bisogna
ripensare le strutture del pronto soccorso, non limitare un piccolo spazio del
grande ospedale, ma ripensarlo come un grande centro di accoglienza.
Bisogna
pensare anche al personale sanitario del pronto soccorso, deve avere una grande
specializzazione, diversa da personale che opera in corsie o in reparti dove la
malattia è stabilizzata.
Il personale
del pronto soccorso deve essere altamente qualificato e preparato deve avere un sostegno psicologico che li
aiuta a metabolizzare, subliminare, ammortizzare il carico di sofferenza che come un onda in
piena a volte travolge il personale sanitario del pronto soccorso.
Bisogna
riportare l’umanità dentro il pronto soccorso….
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